I giovani delle quattro Diocesi del Friuli Venezia Giulia si sono riuniti questo pomeriggio alla Risiera di Sabba per un pomeriggio di riflessione, di conoscenza, di preghiera. In mezzo a loro Abdul, il maestro pakistano sfuggito alla morte in seguito agli attentati dei talebani alla sua scuola e alla sua casa, oggi richiedente asilo alla Commissione territoriale di Gorizia: un breve e doloroso intervento, davanti al Vescovo di Trieste mons.Giampaolo Crepaldi e a circa 500 persone provenienti da tutta la regione, nel cortile interno della Risiera.
di Martina Luciani
Perchè si è voluta e cercata una testimonianza di un profugo per l'Evento della memoria organizzato dalle diocesi delle quattro province regionali? Sta scritto sulle informazioni disponibili on line: "Il nazismo, al pari di tutti i regimi totalitari, è stato una piaga che ha minato le libertà delle popolazioni europee e non solo. Ancora oggi, nel mondo, vi sono popoli e genti oppressi e perseguitati per il loro credo, per la loro etnia, per la loro appartenenza. Visitare un lager come la Risiera di San Sabba, quindi, significa conoscere il male, la guerra, la persecuzione di ieri... e di oggi. Significa ricordare, significa pregare."
La proposta di portare una testimonianza che creasse questo arco temporale è stata fatta ad Abdul, il maestro pakistano - a Gorizia da quasi due mesi - che si è messo a disposizione dei volontari che operano nell'ambito di Caritas, diventando anche socio della Betlem, la Onlus che si è affiancata in questo periodo a Medici Senza Frontiere per supportare le attività del campo al San Giuseppe.
Abdul, che è persona pacatissima e dotata di quell'amabile autorevolezza dei maestri di autentica vocazione, ha accettato. Questo pomeriggio a Trieste, era molto emozionato, nonostante avesse accanto, ben stretti al suo fianco, un gruppo di amici.
Dopo aver visitato la Risiera e aver elaborato quanto poco tempo sia trascorso da quando anche le nostre terre furono travolte dalle tempeste dell'orrore e della morte, si è trovato improvvisamente di fronte al Vescovo di Trieste, che gli ha stretto calorosamente la mano; poi, al microfono collocato al centro dell'impronta del forno crematorio, si è rivolto alla folla di giovani assiepata nell'impressionante cortile, con la traduzione ( e la rassicurante presenza) di don Nicola Ban, parroco di San Giusto e componente dell'equipe Pastorale giovanile dell'Arcidiocesi di Gorizia.
" It's extremely painful to address that many families were killed, many innocents people were killed by terrorists groups, and their houses were destroyed....."
Il suo discorso, che potete leggere qui, è risuonato tra le enormi pareti che chiudono l'angoscia del luogo in un confine invalicabile: un grande silenzio attorno alle voci del maetro pakistano e dell'interprete don Nicola. Credo che a nessuno sia parso incongruo l'intervento di Abdul, si è percepita la risonanza tra le memorie della Risiera e la descrizione di una tragedia personale contemporanea, frammento di una tragedia collettiva: i demoni che la follia umana sa suscitare in fondo non hanno età, e aspettano solo la breccia da cui saltar fuori, allora come oggi. Alla testimonianza di un padre che fugge e deve lasciare i suoi bambini e sua moglie si è aggiunta una ulteriore precisazione, una confessione condivisa coraggiosamente: Abdul ha detto di portare con sè per sempre un altro grande dolore: quello di aver abbandonato i suoi piccoli alunni, lasciati in un mondo dove l'oscurantismo e l'ignoranza costituiscono il primo limite a qualsiasi prospettiva di giustizia e di pacificazione: " I wanted to guide these innocents children to the right path. I tried days after days to help but I fail to do so and I feel helpless that I couldn't help them but the current situation became even worse in our area."
Il territorio da cui proviene Abdul si chiama Khyber Agency, una delle otto aree tribali del Pakistan riunite nella Federally Administered Tribal Areas, dove è assolutamente sconsigliato recarsi di questi tempi: il Khyber pass, che da nome all'intera zona, storico transito dal Nord verso le fertili pianure dell'Asia, è oggetto di ogni tipo di attentato e incursione, che sia la Nato per difendere un suo convoglio di trasporti, che siano le forze armate pakistane, che siano le formazioni dei guerriglieri talebani. Che ci vadano di mezzo le vite e le proprietà dei civili è assolutamente irrilevante.
Un rapporto di Amnesty International del 2012, intitolato “Le mani della crudeltà” calcolava in milioni le persone che nelle Aree tribali del Pakistan nord occidentale vivono in assenza permanente di legalità: gli abusi commessi dall'esercito e dai talebani restano al di fuori di qualsiasi schema a noi comprensibile.
Le comunità locali, storicamente e fieramente indipendenti, invece di essere protette subiscono attacchi dagli uni e dagli altri, intimidazione e tortura sono fatti quotidiani, le garanzie costituzionali e la supervisione dei tribunali sono escluse dalle Aree tribali, le forze armate utilizzano leggi sulla sicurezza dall'ampia portata e applicano un durissimo sistema penale dell'era coloniale per compiere impunemente abusi ,violazioni dei diritti umani. e omicidi nei confronti dei sospettati di avere relazioni con i talebani.
Per contro i talebani e altri gruppi armati si rendono responsabili di uccisioni brutali e trattamenti di inaudita crudeltà qualora sospettino che qualcuno stia dalla parte dello Stato o, per esempio, rivendichi diritti fondamentali, come quello dell’istruzione. La situazione, come ci ha detto Abdul e come sappiamo dalle cronache recenti, non è migliorata.
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