venerdì 20 marzo 2015

Ilaria Alpi, Miran Hrovatin e le verità nascoste



Dopo ventun anni ancora il buio sulla vicenda


“Oggi è un giorno tragico, un giorno di lutto per l’informazione italiana, per la Rai e soprattutto per noi giornalisti e tutti quelli che collaborano al Tg3: la nostra collega, la nostra amica Ilaria Alpi è stata uccisa poche ore fa a Mogadiscio. Stava lavorando per noi, stava lavorando per la Rai. Insieme a lei è stato ucciso il suo operatore Miran Hrovatin…”
Sono le ore 15.05 del 20 marzo 1994. La programmazione della terza rete si interrompe per un’edizione straordinaria del Tg3. Sullo schermo compare il volto raggelato del giornalista Flavio Fusi che dà la triste notizia con la voce rotta dalla commozione.
Da quel giorno sono trascorsi ventuno anni. In oltre due decenni per ricordare Ilaria e fare luce sull’omicidio è stata istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta, sono stati scritti libri, anche a fumetti, realizzati film, speciali in tv, le hanno dedicato piazze, vie, canzoni. Segno di una sensibilità diffusa e del desiderio che la memoria resti cosa viva.
Ma l’istanza più importante, quell’insopprimibile e sacrosanta ricerca della verità non è stata esaudita. Non c’è un colpevole, né un mandante, né il nome dei depistatori che hanno fatto passare quell’esecuzione per una rapina finita male incolpando un innocente che da sedici anni sconta la galera senza aver commesso il fatto.
A ristabilire alcuni principi di verità storica sul caso Alpi-Hrovatin ci ha pensato, non il Parlamento né la Procura di Roma ma la trasmissione “Chi l’ha visto” condotta da Federica Sciarelli. La giornalista Chiara Cazzaniga in un anno di ricerche è riuscita a intervistare a tu per tu il supertestimone Jelle – che praticamente nessuno in questi venti anni si era preso il disturbo  di rintracciare – che ha ribadito ai microfoni del programma la non colpevolezza di Hashi, il ragazzo somalo ingiustamente accusato.
Ora l’inchiesta si riapre con la speranza che questo puzzle così incompleto possa ricomporsi.
Lo dobbiamo a Ilaria (e a Miran - ndr) che è stata assassinata perché indagava con coraggio sulla mala cooperazione e sul traffico illecito di armi e di rifiuti tossici. E lo dobbiamo ai genitori di Ilaria che non si sono mai arresi di fronte all’omertà, ai depistaggi, all’occultamento delle prove.
Lo scorso anno alla Rai, sotto il cavallo di viale Mazzini è stata piantata una rosa bianca in ricordo di Ilaria. Verità e giustizia sono l’unico fertilizzante in grado di non farla sfiorire.

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