Dopo ventun anni ancora il buio sulla vicenda
“Oggi è un giorno tragico, un giorno di lutto per
l’informazione italiana, per la Rai e soprattutto per noi giornalisti e tutti
quelli che collaborano al Tg3: la nostra collega, la nostra amica Ilaria Alpi è
stata uccisa poche ore fa a Mogadiscio. Stava lavorando per noi, stava
lavorando per la Rai. Insieme a lei è stato ucciso il suo operatore Miran
Hrovatin…”
Sono le ore 15.05 del 20 marzo 1994. La programmazione della
terza rete si interrompe per un’edizione straordinaria del Tg3. Sullo schermo
compare il volto raggelato del giornalista Flavio Fusi che dà la triste notizia
con la voce rotta dalla commozione.
Da quel giorno sono trascorsi ventuno anni. In oltre due
decenni per ricordare Ilaria e fare luce sull’omicidio è stata istituita una
Commissione parlamentare d’inchiesta, sono stati scritti libri, anche a
fumetti, realizzati film, speciali in tv, le hanno dedicato piazze, vie,
canzoni. Segno di una sensibilità diffusa e del desiderio che la memoria resti
cosa viva.
Ma l’istanza più importante, quell’insopprimibile e
sacrosanta ricerca della verità non è stata esaudita. Non c’è un colpevole, né
un mandante, né il nome dei depistatori che hanno fatto passare
quell’esecuzione per una rapina finita male incolpando un innocente che da
sedici anni sconta la galera senza aver commesso il fatto.
A ristabilire alcuni principi di verità storica sul caso
Alpi-Hrovatin ci ha pensato, non il Parlamento né la Procura di Roma ma la
trasmissione “Chi l’ha visto” condotta da Federica Sciarelli. La giornalista
Chiara Cazzaniga in un anno di ricerche è riuscita a intervistare a tu per tu
il supertestimone Jelle – che praticamente nessuno in questi venti anni si era
preso il disturbo di rintracciare – che
ha ribadito ai microfoni del programma la non colpevolezza di Hashi, il ragazzo
somalo ingiustamente accusato.
Ora l’inchiesta si riapre con la speranza che questo puzzle
così incompleto possa ricomporsi.
Lo dobbiamo a Ilaria (e a Miran - ndr) che è stata
assassinata perché indagava con coraggio sulla mala cooperazione e sul traffico
illecito di armi e di rifiuti tossici. E lo dobbiamo ai genitori di Ilaria che
non si sono mai arresi di fronte all’omertà, ai depistaggi, all’occultamento
delle prove.
Lo scorso anno alla Rai, sotto il cavallo di viale Mazzini è
stata piantata una rosa bianca in ricordo di Ilaria. Verità e giustizia sono
l’unico fertilizzante in grado di non farla sfiorire.
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