venerdì 9 settembre 2016

Il Boscarin di Ivan Crico a Colmello tra mito e storia

Ivan Crico è presente a Borgo Colmello nell'ambito della rassegna "Ritratti e bestialità di corte". Una mostra, a fini benefici, che vede presenti tra i maggiori artisti regionali.


di Marilisa Bombi

Ivan Crico che, oltre a dipingere compone poesie di successo, tanto che alcune sue opere in dialetto bisiaco gli hanno valso diversi riconoscimenti a livello nazionale, per la rassegna Ritratti e bestialità di corte ha rappresentato il Bue Boscarin.
Insomma, non un bue qualsiasi ma, citando Roberto Covaz, Ivan ci ha tenuto a ricordare che il Boscarin ha rischiato l’estinzione dopo aver servito per secoli i vari padroni dell’Istria. E se Venezia è stata la potente repubblica marinara che è stata lo deve anche a lui, a Boscarìn.
I buoi istriani erano, infatti, usati dalla Repubblica di Venezia per il trasporto dei tronchi di rovere, per la costruzione delle navi da guerra, che provenivano dal bosco istriano di San Marco, proprietà del demanio veneziano.
Gli alberi crescevano piegati, con la punta legata a terra, in modo da acquisire la curvatura che sarebbe servita ai mastri d'ascia dell'Arsenale di Venezia per costruire la chiglia e il fasciame delle galee.
Il Boscarin oggi, così come la Chianina per la Toscana, è il simbolo della sua terra arcigna, dei suoi uomini tenaci e orgogliosi, delle sue tradizioni religiose e agresti.
Insomma, mai come in questo quadro si rivela inesorabilmente il Crico bifronte. Da un lato il poeta che scrive rigorosamente in dialetto, consapevole della necessità di salvare dall’oblio termini e modi di dire a volte molto antichi, particolari tradizioni che si perdono nella notte dei tempi. Dall’altro, il Crico pittore che utilizza il rosso sangue per le sue pennellate che delineano l’altrimenti grigio Boscarin. Pennellate color rosso come rossa è la terra del Carso che Ivan Crico poeticamente immortala in questi versi:
LA MONTE
Quel che ’l xe sta e 'l resta ta 'l saldàn
al à la óse russida de le piante
de foiarola ta'l oro sbechetà
dei sfondri. Al sol in ta 'l bianc
dei mantii distiradi ta le trinzee
doventade un giaron de pòlvar
e vididulazi, gatìuni intrigosi
de russe. In fra i antri che no i sa
cossa che vol dir 'l to zirarte, l'onda
che la me conta de le note dei negri
cavéi sgardufadi. Al rispiro cuiét,
là che ciapa sàcuma l'oro intristulì
de la gràia disérta, drento t'un zito
'ndò che se vémo 'ncantà par senpre.
CARSO Ciò che è stato e resta fra le crete / ha la voce arrossata delle piante / di sommacco sul bordo frastagliato / delle scarpate. Il sole sul bianco / delle tovaglie stese tra le trincee // diventate un greto di polvere / ed erbe, intrichi impenetrabili / di spine. Tra altri che non sanno cosa vuol dire il tuo voltarti, l'onda // che mi parla delle notti dei neri / capelli increspati. Il respiro calmo, / in cui prende forma l'oro bruciato / della radura deserta, in un silenzio / dove ci siamo fermati per sempre.

Per saperne di più su Ivan Crico, pittore e poeta visita questa pagina.

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