domenica 2 marzo 2014

Isonzo: il grande equivoco transfrontaliero cominciato 35 anni fa


Appunti dagli scritti di Guglielmo Coronini, Cesare Devetag, Loris Fortuna, Carlo Michelutti. Lo spettro di una nuova centrale idroelettrica a Caporetto.


di Martina Luciani



Nel marzo del 1979 si svolse a Gorizia un ciclo di conferenze, concluso da una tavola rotonda, intitolato “L’Isonzo:geografia fisica, storica ed economica di un fiume internazionale”.

Argomento bollente: la diga di Salcano era un progetto sempre più incombente sul fiume nel suo tratto italiano. Argomento che bolle tutt’ora:  le portate del fiume sono discontinue a causa dei rilasci della diga oltre confine, il fiume mal sopporta  il peso delle attività e dello sfruttamento umano, lui e noi dobbiamo fronteggiare concretamente i cambiamenti climatici ( che abbiamo tenacemente inseguito in decenni di osceno abuso degli equilibri naturali, gli utilizzi a fini irrigui, alla faccia di tecnica e scienza, sono sempre più esigenti, l’acqua di tutti serve a produrre energia elettrica che poi, noi tutti, usiamo pagandola profumatamente.

Nel 1979, il Trattato di Osimo era operativo da soli quattro anni, quindi i suoi contenuti erano ancora freschi freschi nella coscienza locale. Probabilmente ancora freudianamente perturbata dalle vicende belliche e post belliche, afflitta da complessi che si manifestavano tanto in ostilità quanto in esagerata benevolenza verso le iniziative o inazioni dei nostri vicini.

Un’ utilissima, e vecchissima pubblicazione, realizzata dalla provincia di Gorizia nel 1980, riporta numerosi interventi presentati durante le conferenze, e tra questi quello di Guglielmo Coronini, presidente della sezione di Gorizia di Italia Nostra.

Raccontava Coronini, a proposito della diga, che la “sbandierata posa della prima pietra della nuova centrale idroelettrica di Salcano” avvenne nel gennaio del 1978, secondo un progetto già approvato nell’agosto del 1975, quattro mesi prima della firma degli Accordi di Osimo.
Questa incongruenza temporale scatena una pioggia di altre sottolineature, che ad incastro delineano quel “peccato originale” da cui discendono gran parte degli attuali problemi dell’Isonzo italiano.

Partiamo dalla sua precisazione che “ tutte le iniziative collaborative nel campo dell’idroeconomia”  sono configurate in forma di joint ventures: “di fronte alla bilancia, per noi passiva, degli scambi energetici italo-jugoslavi, appare comunque inopportuno di non avvalersi della partecipazione all’utilizzazione dell’impianto offerta dall’accordo. Tanto più che essa implicherebbe la cogestione diretta del regime delle acque nel rispetto dei diritti irrigui italiani, sotto il controllo della Commissione mista permanente per l’idroeconomia e condizionerebbe fino alla fase di progettazione la doppia attitudine dell’impianto alla produzione energetica come al rifasa mento delle acque, compresa l’automatica regolazione degli scarichi.”

Concludeva il ragionamento:  “La cointeressenza finanziaria comporterebbe anche il concorso proporzionale nel calo di produzione energetica, provocato dalle periodiche limitazione imposte dai bisogni irrigui italiani…e questo fattore negativo, insito nella partecipazione, andrebbe a parziale sollievo degli adempimenti jugoslavi.”

Semplice. Basta fare quel che dicono gli Accordi  la diga di Salcano/Solkan  deve essere co-gestita, gioco forza l’attività della centrale è subordinata equamente alle esigenze della vita del fiume in territorio italiano.  Invece nel 1977, il Consiglio comunale di Gorizia votò quasi all’unanimità una mozione, stravolgendo – in base ad una competenza  che non aveva – la ratio e il dettato di Osimo: la diga in Jugoslavia e un bacino di rifasamento in territorio italiano. Coronini, allora, avvisava: la Jugoslavia avrà via libera ad utilizzare a proprio esclusivo profitto il fiume e a sregolarne ulteriormente le portate, e all’Italia toccherà il compito di compensare i danni, a proprie spese e sul proprio territorio.

Putroppo, il cosiddetto “sistema globale di Salcano”, messo a punto sul lago di Bled dalla Commissione mista per l’idroeconomia, nel marzo del 1978, riprese i contenuti della famigerata delibera consiliare.

L’avvocato Cesare Devetag, commentando le osservazioni di Coronini, disse “ A me pare che in questa vicenda, disgraziata per la Storia di Gorizia, i tecnici che hanno portato avanti quel discorso sciagurato….avrebbero dovuto partire dal discorso che abbiamo sentito sul piano giuridico del diritto internazionale fatto dal dott.Coronini, presidente di Italia Nostra.”

Nella stessa direzione si mosse, nel 1980, l’on. Loris Fortuna in una interpellanza al Ministro degli Esteri. Gli Accordi di Osimo, scriveva,  prevedono sia l’impianto di produzione idroelettrica sia il bacino di rifasamento in territorio jugoslavo, e parlano di joint ventures: come è possibile che ci sia stato un accordo a livello comunale, tra Gorizia e Nova Gorica, che ha impostato le cose a modo suo, stabilendo che la diga la costruisse la Jugoslavia e  che in Italia, a Gorizia, si costruisse la traversa per la regolazione dei flussi d’acqua. Nessun accordo modificativo degli Accordi di Osimo può essere attuato se non attraverso un atto di pari grado, quindi un nuovo accordo ratificato e reso esecutivo previa autorizzazione delle Camere.

Ma su queste problematiche i movimenti politici furono per anni e anni infinitamente lenti, prudenti, inconcludenti: dalle riunioni delle Commissioni miste trapelava ( e la trasparenza non è ad oggi migliorata) poco o nulla, e mentre evolvevano nuove prospettive di relazioni confinarie nessuno voleva evidentemente mettersi a litigare. Tant’è, ad esempio, che dal 1988 che stiamo educatamente aspettando, tra ripetuti  e roboanti annunci cui seguiva il nulla,  la realizzazione dell’impianto di depurazione fognaria del Comune di Nova Gorica, ulteriore dimostrazione che quel che succede – in questo caso si tratta di inquinamento – nelle acque italiane dell’Isonzo non coinvolge le preoccupazioni dei vicini d’oltreconfine.

Un’ottima occasione per metter mano alla questione si è presentata nel 1992, quando la Slovenia è subentrata alla Jugoslavia in una cospicua serie di atti bilaterali. Scrive Carlo Michelutti nel suo “Gorizia: a 30 anni dagli accordi di Osimo. Fra buone intenzioni e occasioni perdute”: “quella era l’occasione per rinegoziare gli Accordi di Osimo, certamente non nei suoi aspetti territoriali e confinari, ma per riutilizzare e attualizzare, alla luce delle nuove situazioni geo-economiche e politiche sortite dall’indipendenza della Slovenia, il patrimonio progettuale e finanziario di quelle intese diplomatiche.”

E alla luce delle accresciute e allarmate consapevolezze ambientali ridefinire la gestione della risorsa acqua, visto che il valore di un corso fluviale non è più rilevabile semplicemente rispetto i suoi utilizzi a fini economici, ma rispetto il suo ruolo nell’ecosistema di un territorio. Dalla sorgente alla foce; e a questo proposito, non dimentichiamoci che il nuovo piano energetico nazionale sloveno prevede la costruzione di un altro impianto idroelettrico nella zona di Caporetto, che potrebbe compromettere ulteriormente la portata del fiume in Italia.

 A conclusione di questa disamina  un ulteriore suggerimento e un’ulteriore sottolineatura della dimensione tecnico-giuridica  e comunitaria della questione: dal 2010, è uno sloveno  - Jan Potocnik - il commissario europeo per l’ambiente. Forse si poteva approfittare di una presumibile familiarità con la situazione locale e spedire una autorevole delegazione nazionale a sollecitarlo sulla questione dell’unico nostro grande fiume internazionale, condiviso proprio con il suo Paese, per il quale è prevista, dall’Unione europea, la creazione di quel bacino idrografico internazionale (certamente istituzione più tecnica e meno politica di quel che è stata la Commissione mista per l’idro economia) che ancora nessuno ha ritenuto di costituire.
 

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