domenica 29 dicembre 2013

Una storia di Natale

Abdul l'elettricista

di Martina Luciani

“ Disinfettate i sedili della macchina! ” ha lanciato come un sasso l’operatrice della Caritas di Gorizia mentre portavamo via Abdul, la mattina del 27 dicembre, ospitato a forza la sera del 26 per trascorrere la notte nella struttura di piazza Tommaseo.  Spiego cosa vuol dire“ a forza”, e ringrazio don Ruggero Di Piazza, che se non c’era lui la forza mia e della mia famiglia non bastava per affrontare questa piccola ordinaria storia di immigrazione e disperazione.
L’immigrato kashmiro , Abdul, di professione elettricista, trovato il pomeriggio di Santo Stefano sotto la pioggia battente, in Corso Italia, confuso dopo una notte trascorsa accucciato in un cabina telefonica, portato a casa nostra rivestito di panni asciutti, non sapeva dove ripararsi.  Scopriamo, alle 7 e mezzo di sera, che non ha diritto e la possibilità di rifugiarsi nemmeno sotto quel tetto  che dovrebbe reggersi su pilastri chiamati carità, fraternità, condivisione, aiuto, comprensione. Un tetto che “
offe un luogo dove dormire a uomini che si trovano senza dimora”. E per il quale magari noi riteniamo significante effettuare donazioni, o assegnare l’8 per mille . Tuttavia la legge dell’ente  - che, ricordo, è  emanazione della Chiesa e non della Lega Nord -  dice che per essere accolti in Dormitorio bisogna rivolgersi al Centro di Ascolto diocesano: operazione molto difficile se arrivi a Gorizia la notte di Natale, se non hai una piantina con cui orientarti e se sei stanco morto.
“ Le regole sono fatte per gli uomini e non contro gli uomini”: è molto severo don Ruggero , cui chiedo aiuto, suonando alla sua porta nonostante le nostre reciproche, insormontabili e cordiali diffidenze. Lui mi apre e appena sentita la storia comincia a far bollire il telefono per aiutarmi.   Comincia proprio con il volontario che  poco prima aveva respinto Abdul, e me che intercedevo per lui.  A costui avevo  mostrato documenti che i Carabinieri di Gorizia, interpellati durante il pomeriggio e ricevuti in casa mia  mentre Abdul mangiava e tentava di spiegare la sua situazione, avevano ritenuti sufficienti per legittimare l’attesa, in territorio italiano, fino all’appuntamento fissato dalla Polizia di frontiera per il  giorno 27, all’Ufficio immigrazione, per l’inizio della pratica di richiesta dello stato di rifugiato politico: ma all’ ufficio della Caritas di via Vittorio Veneto Abdul non c’era andato, e quando ci sono andata io, ovviamente era chiuso. E proprio costui, visto che io protestavo che non si poteva lasciare un ragazzo sotto la pioggia tutta la notte,  mi aveva diffusamente spiegato che questi immigrati sono dei furbacchioni, sanno bene dove andare, e sono capaci di tutto.  Non  riusciamo a identificare in questo modo Abdul, che tutto quel che ci chiedeva era come trovare un posto dove dormire, che si è schernito davanti al cibo che gli offrivamo, che al momento di uscire da casa nostra, dopo alcune ore passate a farci vedere foto di nipotini sul cellulare, voleva restituire i panni  che gli avevamo dato per mettere ad asciugare i suoi abiti bagnati.
Don Ruggero non molla. Così  riusciamo a far accogliere Abdul, gli evitiamo un’altra notte allo sbando. Non riceve la colazione, ma perché mai sprecare una tazza di caffelatte per uno che è un uomo ma, qui e ora, lo è un po’meno di altri uomini?


Arriva la mattina del 27: si va a prendere Abdul in piazza Tommaseo per portarlo alla Polizia di Frontiera, che non si perda un’altra volta sennò son guai grossi.
Lui ci aspetta, e c’è sul portone anche una donna, si definisce responsabile della struttura, lì apposta per noi,  per dedicarci una nuova e ulteriore reprimenda. Ma ormai ce ne importa un fico secco, di quel che dice questa esponente di una Chiesa/Organizzazione che sta festeggiando la sua Natività: inutile opporre principi umanitari a chi non ha percepito l’etimologia più comune della parola “caritas” ( e coglie  evidentemente il significato di “caro prezzo di qualcosa”).
Ho riportato all’inizio suggerimento igienico sanitario ricevuto come saluto.

P.S. La Polizia di Stato e i funzionari preposti alle problematiche dell’immigrazione ci hanno aiutato con gentilezza in tutti i modi possibili, non ci hanno trattato con disprezzo e non ci hanno suggerito di mollare Abdul l’elettricista al suo destino.  Non si sono nemmeno allarmati se nostra figlia sedicenne faceva da mediatore culturale improvvisato, insieme a un maestro elementare in fuga dal Pakistan e in mezzo ad un eterogeneo gruppo che attendeva davanti all’Ufficio di Casa Rossa .  Abdul ora è sistemato e può attendere in condizioni dignitose il 10 gennaio, quando lo riporteremo all’Ufficio immigrazione per la prosecuzione delle pratiche che lo riguardano.

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